logo

Storia di Minerbio



DALL'ANTICHITA' AL SECOLO XIII

Chi si accinge a studiare la storia di un centro abitato non può esimersi dal conoscere, sia pure sommariamente, le condizioni geografiche della zona e le vicende degli stanziamenti umani che in essa si sono succeduti nei tempi precedenti la nascita vera e propria del nucleo abitato. Di qui la necessita' di una rapida scorsa attraverso i secoli che precedettero la nascita di Minerbio.

Non possiamo certo rifarci alla preistoria: nessun reperto di quell'epoca ha fornito la zona dell'odierna Minerbio, e se ne comprende la ragione pensando alla natua alluvionale di questa nostra pianura che da " mare intrapadano " andò nel corso dei millenni trasformandosi, mercé l'apporto dei fiumi e, più tardi, attraverso l'opera dell'uomo, in quella che oggi è la pianura padana. Possiamo tutt'al più supporre qualche stanziamento su palafitte, dato che in altre zone, non troppo distanti da Minerbio (Crespellano, Castelfranco Emilia, Rastellino) tali antichissimi insediamenti vi furono realmente, come è attestato dalle terremare (terre marne, cioè nerastre, ricche di sostanze organiche), stazioni preistoriche costituite da villaggi su palafitte in luoghi paludosi che risalgono a circa mille anni avanti Cristo (civiltà del bronzo).

Vennero poi dal nord nuove genti che diedero luogo alla civiltà detta del ferro (non perchè questo fosse il metallo più usato, ma perché la sua apparizione ci dice che siamo agli albori di una nuova civiltà); genti che nel territorio bolognese hanno lasciato in moltissimi sepolcreti (e soprattutto in quelli di Villanova in comune di Castenaso, donde il nome di <<civiltà villanoviana>> testimonianze della loro cultura e della loro vita (secoli IX-VI a.C.). Ad essi seguirono i civilissimi Etruschi che ebbero la loro maggior fioritura nel secolo V; finché alla fine del IV secolo l'invasione di una semibarbara popolazione celtica, i Galli Boi, pone fine ai regni etruschi. L'etrusca Félsina (l'odierna Bologna) diviene una città gallica e la pianura circostante divent l'agro dei Galli Boi, l' ager Boiorun come lo chiameranno i Romani. Ed è proprio al periodo gallico che risale il primo ritrovamento archeologico nel territorio minerbiese, quello di S. Maria Maddalena di Cazzano dove tombe galliche restituiscono vari

oggetti fra cui un elmo, in frammenti, a risega con orlatura espansa che si conserva ora al Museo Civico ai Bologna.

Nel 225 a.C. i Roniani, scnfitte le orde galliche a Talamone, mettono piede nell'agro bolognese e sottomettono i Galli che però, durante la seconda guerra punica, insorgono (216 a.C.);sappiamo da Tito Livio che il pretore Postumio Albino con due legioni (circa 25.000 uomini) venne attirato dai Galli nella Silva Litana, la zona boscosa ed acquitrinosa che delimitava a nord l'agro bolognese, rimanendo vittima di un tranello. I Galli avevano reciso gli alberi

lungo il percorso dei soldati romani lasciandoli però in piedi e facendoli cadere sulle truppe al momento giusto. La colonna romana fu completamente distrutta e il cranio di Postumio Albino servì ai Galli come coppa per le libagioni rituali.

La riscossa dei Romani venne nel 191 col console Publio Cornelio Scipione Nasica, cugino di Scipione l'Africano, e la pianura passò definitivamente al dominio di Roma, rimanendo in mano ai Galli solo le selve e le paludi inospiti e selvagge del confine settentrionale; i Romani non persero tempo e nel 189 condussero nell'agro bolognese una colonia costituita da 3000 coloni ai quali fu distribuito il terreno intorno a Bologna in ragione di 70 jugeri ai cavalieric ha 17,6631) e 50 agli altri (ha 12,6165). Pare che in quelI' occasione fossero distribuiti circa 400 chilometri quadrati.

In pratica l'assegnazione delle terre venia effettuata mediante il procedimento detto di "centuriazione" che si svolgeva nel modo seguente: l'agro era misurato dagli agrimensori che lo dividevano in quattro parti mediante una linea in senso nord-sud (cardo maximum) e una in senso est-ovest (decumanum maximun); altre linee parallele al decumano e al cardo massimi suddividevano ulteriormente le quattro parti in zone quadrate dette centuriae (di circa 200 jugeri) ognuna divisa in lotti per i singoli coloni (che nel nostro caso erano di 50 o 70 ha ciascuno) detti sortes o accetae. La zona dell'agro che restava a nord del decumano massimo era indicata come dextra, quella a sud come sinistra; la zona a levante del cardo massimo si individuava come citra (= al di qua), quella a ponente come ultra (= al di là); in base a queste suddivisioni si indicava la precisa posizione di ogni luogo nell'agro centuriato.

Quanto rimaneva fuori dalla centuriazione era detto ager arcifinus, stabilito cioè per la difesa dei confini.

Di questa' colonizzazione romana, condotta negli stessi anni dell'apertura della via Emilia (187 a.C.), anche il territorio minerbiese ha conservato tracce che sono rilevabili tuttora nel tracciato di varie strade e in toponimi della pianura a nord dì Bologna: Granarolo (deposito di granaglie;) Viadagola (Vitaliacula, piccolo deposito di viveri); Cazzano (dal nome gentilizio romano Catius, Catianus); Quarto (indicazione gromatica); Triario, sede della chiesa plebana di S. Giovanni ricordata già nel 974 (triarii erano i soldati della terza schiera della legione romana; vicus Triarius era una contrada di Roma); Vigorso (Vicus Urseus); Fiesso (Flexus, termine che indicava dove il limite dell'agro si incurvava per seguire un andamento naturale, per esempio un fiume), ed altri ancora.

Ogni agro faceva capo a UTA municipium; l'ager bononiensis, che aveva il suo centro principale nel municipio di Bononia era delimitato dal corso del torrente Samoggia ad occidente, dell'Idice ad oriente. L'agro si divideva in distretti detti paggi, questi, a loro volta, in vici.

Nella sua parte più settentrionale l'agro bolognese era diviso in due pagi separati dalla linea dell'antichissimo corso del torrente Savena, ora corrispondente al canale Navile: a occidente il pagus Saltuspanus o Saltuplano (saltus = bosco) ricordato in documenti nonantolani del secolo IX; ad oriente il pagus che potè essere denominato Duliolus o Minervius; per la prima denominazione sta il fatto di trovarla usata nella pseudo-donazione di Orso all'abbazia di Nonantola del 751, e l'esistenza anche oggi della località di Dugliolo; per la seconda vi è il riscontro con l'analogo nome di due paghi dell'agro velleiate e del piacentino con un vicus Minervius nel bresciano e con l'odierna Minerbio.

Certo è che queste zone erano boscose, corrispondendo con ogni probabilità all'antichissima Silva Litana, e di ciò si hanno ricordi non equivoci ancora nel secolo XII. Il diploma di Enrico V ai bolognesi del 15 maggio l116 conferma il loro diritto di pascolo nella selva dalla pieve di Buda (da identificarsi con quella di Medicina) alle paludi e fino a Cento di Budrio ("pabulum silve a plehe Buida usque ad paludes et usque ad Centum"); nel 1186, come diremo più avanti, si ricorda la silva minervese

Il processo di romanizzazione dei Galli fu lento: ancora mezzo secolo prima di Cristo le zone selvose a nord della pianura assegnata ai coloni romani erano malsicure per la presenza di popolazione gallica non ancora assorbita etnicamente e culturalmente; da un passo di Appiano si apprende che nel 43 a.C. (l'anno del triumvirato tra Ottaviano, Marco Antonio e Lepido che, come noto fu stabilito in un loro incontro presso Bologna), Decimo Bruto, già prefetto della cavalleria di Cesare e partecipe della congiura, volendo fuggire in Macedonia presso Marco Bruto, raggiunse il Reno con pochi compagni e quivi, catturato dai Galli, fu da Camillo loro capo, già da lui beneficato, ucciso per ordine di Antonio.

La campagna intorno a Bononia doveva essere molto fertile: Polibio che visitò prima del 150 a.C. questa regione, la descrive come mirabilmente abbondante di frumento, orzo, vino, panico, miglio, con grandi querceti che davano la possibilità di allevare una immensa quantità di porci. Anche Strabone dice che nella Gallia Cisalpina vi è bellezza e forza di popolazione, grandezza di città, ricchezza superiore a resto dell'Italia; fertilissima è la terra che dà frutti abbondanti di ogni genere, vi è gran quantità di querce e vi prospera lamaggior parte dell'industria suina dello Stato Romano. Vi è molto miglio per l'abbondanza delle acque, vino, legname. Plinio ricorda la roccia gessosa delle colline bolognesi o le canne palustri del Reno, eccellenti per fabbricare dardi.

Dei Galli, a poco a poco romanizzati, la traccia più durevole è rimasta nel dialetto gallo-italico dell'Emilia. Quando noi ci esprimiamo, come avviene ogni giorno, nel nostro dialetto, riaffiora sulle nostre labbra la parlata degli antichissimi e dimenticatissimi Galli Boi che hanno così storpiato la lingua dei loro dominatori latini: meravigliosa conservazione, nel linguaggio di un popolo, delle tracce delle sue più lontane vicende.

Poi anche l'agro bolognese avrà conosciuto la floridezza generale del I II secolo d.C., l'anarchia militare del III secolo, la decadenza generale del IV e del V secolo. Nella storia dell'Impero che precipita si ha una testimonianza, la lettera di S. Ambrogio a Faustino, del 388, in cui il santo dottore definisce Bologna ed altre città dell'Emilia semirutarum urbium cadavera: cadaveri di semidirute città; ed anche qualora si voglia attribuire a questa frase, come pensano alcuni, un significato iperbolico, resta tuttavia il fatto che l'ipetbole non poteva non essere basata su dati reali e universalmente noti e che la decadenza é un fatto indubitabile.

Comincia poi il periodo delle invasioni barbariche: nel 410 Alarico alla testa dei Visigoti scende fino a Roma, ma Bologna resiste ed è salva; nel 451 gli Unni guidati da Attila attraversano l'Italia e vengono fermati solo alle porte di Roma dal papa Leone I; nel 476 Odoacre, re degli Eruli, dà il colpo di grazia all'impero Romano d’Occidente e dà inizio ai regni romano-barbarici; nel 493 gli Ostrogoti si sostituiscono ai Visigoti, e Teodorico stabilisce la capitale del suo regno a Ravenna. Dal 535 al 552 il regno goto crolla sotto i colpi dei generali bizantini Belisario e Narsete, mandati dal grande imperatore d'Oriente Giustiniano, e Ravenna diviene la capitale dell'Esarcato. La guerra greco-gotica stremò l'Italia e Procopio di Cesarea, scrittore bizantino, racconta che vi fu carestia orribile perché le campagne furono abbandonate dalle popolazioni.

Nel 568 i Longobardi calano in Italia che resta in loro dominio ad esclusione del litorale adriatico, dell'Esarcato, delle Marche, di Roma, di Napoli, delle Puglie, della Calabria, della Sardegna e della Sicilia; il confine tra il regno longobardo e l'Esarcato si stabilisce fra Bologna e Modena e la nostra città diviene la retrovia immediata di una frontiera malsicura, di una zona di operazioni nilitari. Questo stato di cose dura fino al 730, quando Liutprando conquista Bologna che da retrovia bizantina diviene così retrovia longobarda e rimane tale fino alla successiva conquista dell'Esarcato e della Pentapoli da parte di Astolfo(749-756).

Intanto, sulle rovine dell'impero romano, si era affermato il Cristianesimo, soppiantando i culti pagani e ponendosi, nel disfacimento generale delle antiche strutture politiche e sociali, come l'unica forza in grado di resistere alle calamità dei tempi e di conservare il retaggio della civilta' latina dinnanzi alla dilagante marea dei popoli germanici. L’organizzazione ecclesiastica nella nostra zona comefile:///home/vitto/documenti/minerbio/immagini.htm altrove, fu l'erede diretta di quella romana: agli agri corrisposero le diocesi, al pagus la plebs (pieve, cioè chiesa battesimale) al vicus la parrocchia; mentre ad opera dei grandi centri padani del monachesimo benedettino (Pomposa, Bobbio, Nonantola) la pianura veniva riguadagnata alla coltivizione, i corsi d'acqua regolati, aperte vie di comunicazione stradale e fluviale, create insomma le condizioni ambientali ed economiche per lo stabilirvisi degli agricoltori.

L'alleanza del Papato coi Franchi provocò la caduta del regno longobardo (774), la creazione di uno stato pontificio, la resurrezione del Romano Impero ora divenuto “Sacro”, cioé cristiano, mediante l'incoronazione Carlo Magno nella notte di Natale dell'anno 800 per mano del papa Leone III.

Inizia l'età feudale che ha nel castello il suo simbolo più appariscente e nell'economia curtense il suo supporto economico; anche per questo periodo non abbiamo alcun riferimento alla nostra zona; non è però improbabile che la selva minerviese abbia fatte parte dei domini della celebre contessa Matilde di Canossa. Bisogna giungere al secolo XI per trovare, per la prima volta, il nome di Minerbio nelle antiche carte.

Gli autori che hanno avuto occasione di scrivere delle origini e delle vicende più antiche di Minerbio (lo Zamboni nell'Ottncento, il Sorbelli nel nostro secolo) sono stati concordi nell'affermare che il primo documento in cui appare il toponimo che avrebbe poi contraddistinto il nostro paese, è quello del 2 novembre 1186 da cui si apprende che il Podestà di Bologna ordinò agli uomini di S. Marino e di Lovoleto, comunità limitrofe, di riconsegnare al Comune di Bologna la "silvam que vocatur minervese" sotto pena di cento lire imperiali. Ma altri due documenti ci danno la cettezza che più di un secolo prima esisteva la località abitata detta fin da allora Minervio da cui, ovviamente, la selvn traeva il nome.

Il primo documento, pervenutoci in una copia autentica del 1171, ha la data del 9 ottobre 1049: è un contratto di permuta di terre poste nella pieve di S. Marino (allora detta in Lopolitoro, cioè in Lovoleto, toponimo tuttora conservato ad una frazione del Comune di Granarolo), in cui e ricordato certo Martino de Dominico qui vocatur de Minervo”; il secondo documento, che appartiene al novembre del 1062, è anch’esso relativo a terreni e reca, tra i contraenti, il nome di cerco Domenico de Minervio.

Queste attestazioni del nostro toponimo alla metà del secolo XI confortano ulteriormente l'ipotesi, universalmente accettata, che il nome di Minerbio risalga ad età romana ed abbia riferimento al culto di Minerva che ivi si praticava o, quanto meno ad una dedicazione sacrale della selva che ivi esisteva. Certo è qui che sorse una piccola comunità della quale si ha sicura memoria nel 1223, allorchè il Comune di Bologna, dividendo le terre del contado in quattro quartieri, assegnò al quartiere di Porta S. Cassiano, fra quelle poste “inter Ydicem ed Savenam a strata inferius" (cioè a valle della via Emilia), Quarto di Sopra, Quarto di Sotto, Calamosco, Cadriano, Viadagola, Granarolo, Marano, Veduro, Bagnarola, Cazzano, Triario e S. Giovanni in Triario S Martino in Soverzano e Minervo.

È perciò evidente l'esistenza di Minerbio anche prima dello stanziarnento di 150 famiglie mantovame avvenuto in questa zona nel 1231 e che si può considerare come l'atto di nascita del nostro paese. Su questa emigrazione di un consistente gruppo di lombardi nel bolognese si è pensato dapprima fosse stata determinata da ragioni politiche, dalle lotte cioè tra guelfi e ghibellini ma ciò non trova conferma nelle reali vicende di quel periodo onde sarà più ragionevole ritenere, col Sorbelli, che quelle famiglie fossero spinte a trasferirsi qui da ragioni economiche: “La causa dell'esodo dvette essere determinata o da inondazione o dal mutato corso di torrenti che devastarono o depauperarono il terreno su cui queste famiglie abitavano, o da qualche grave pericolo in cui vennero a trovarsi; si che furonr indotte a cercare altrove un luogo piu fertile e più stabile e più gradito. E lo trovarono nella doviziosa pianura bolognese, ove furono ben lieti di porre la loro nuova dimora”.

In realtà i terreni di Altedo e Minerbio che il Comune di Bologna il 24 giugno 1231 concesse in affitto perpetuo ai rapprentanti delle 150 famiglie mantovane per la somma di lire 2.000 una tantum e di lire 300 annue, non dovevano essere allora molto "doviziosi", ma, al contrario, solo in piccola parte coltivabili, essendo tutto il resto occupato da boschi, prati, paludi, acque e terre incolte che avrebbero richiesto un lungo e duro lavoro di più generazioni per essere ridotte ad uso agricolo; il documento, infatti, dice che il territorio venne consegnato “coi boschi, alberi fruttiferi e infruttiferi, prati, paludi, acque, terre colte e incolte" e coi diritti di pesca e di caccia relativi.

I mantovani sarebbero stati esenti da ogni imposta per trent’anni, e questo è di per sè indicativo che da essi ci si aspettava, come corrispettivo dcll'esenzione fiscale, la messa a cultura di un territorio fino allora scarsamente popolato e quasi improduttivo; avrebbero però dovuto prestare servizio militare ad ogni richiesta del Comune di Bologna. Le famiglie avrebbero dovuto trovarsi sul territorio loro assegnaro entro il 1 novembre 1231, pena l’annullamento del contratto, ed ivi fabbricare case e risiedere stabilmente. Sarebbe stato loro diritto tenere mercato tre volte all’anno (all’inizio di ogni quadrimestre) e costituirsi in un comune a parte da governarsi sotto la direzione del Comune di Bologna come per le altre terre del contado.

Questa migrazione di lombardi anche se, come si è detto, non può essere considerata l'atto di nascita di Minerbio, fu tuttavia l'evento che segnò, con un improvviso incremento demografico e con l’apporto di una consistente forza di lavoro, l’inizio dello sviluppo agricolo della zona e di un consistente centro abitato.

Al secolo XIII, benché a data imprecisabile, pare risalga anche la costruzione della chiesa a Minerbio sotto il titolo di S. Teodoro, ricordata per la prima volta in un elenco delle chiese della diocesi bolognese compilato nell’anno 1300. Si può pensare che tale chiesa sia stata eretta proprio dagli immigrati lombardi e questo potrebbe fornire la spiegazione dell'inconsueta dedicazione a S. Teodoro, unica, a quanto ci risulta, nella diocesi di Bologna in tutti i tempi; tra i vari santi di questo nome ci sono infatti un vescovo di Pavia (770-785) che ebbe già culto nel secolo XII, e un vescovo di Verona del secolo VI anch’esso venerato già nel XII. Non è quindi strano che la prima chiesa di Minerbio fosse dedicata ad uno di questi due santi la cui venerazione gli inimigrati, nella maggior parte mantovani e di altri distretti convicini, portarono forse con sé dai luoghi d’origine.

vai alla home page